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Volevamo una vita come Gianni Minà

Lunedì 27 marzo 2023 si è spento Gianni Minà, storico giornalista e volto popolare della Rai, nonché grandissima firma del giornalismo italiano. Metto qui a disposizione di tutti l’articolo che ho scritto sul mio profilo Facebook. (fabrizio_bocca.33)
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Vasco Rossi voleva una vita come Steve McQueen e noi – gli anni erano più o meno quelli – volevamo una vita come Gianni Minà. Invidiavamo tutto di lui, l’agenda telefonica per prima cosa, ovviamente. Praticamente l’arca dell’alleanza del giornalismo, conteneva i numeri di telefono di chiunque: da Napoleone Bonaparte a Edoardo Vianello. Il suo grande amico Troisi ne farà una gag tv leggendaria: “Lui sull’agendina c’ha Fidel. Senza Castro… Prefisso 00 e via, chiama Fidel. Quando Pino Daniele gli ha detto: Gianni, chiama Troisi, lui ha preso l’agendina e via: fratelli Taviani, Little Tony, Toquinho e Troisi”. E poi gli anni 60, eravamo Cassius Clay, Ray Charles e io… Lo straordinario mondo di Gianni Minà.
Aveva sempre una camicia comoda e chiara, Gianni, pantaloni comodi e neri, un ampio giubbotto scuro e per le scarpe raccomandava: “Comode, me raccomando, con la suola alta, di gomma, che c’è da scarpinà. Meglio da ginnastica”. Non so perché, ma Gianni era torinese e tifoso del Toro, ma con lo slang e la battuta del romano. Credo fosse l’imprinting della Rai, in cui per altro era una specie di lupo solitario ormai. Ne sarà progressivamente emarginato, per le sue idee politiche, la sua indipendenza e intraprendenza, con poca riconoscenza per lo straordinario lavoro fatto in decenni di prima linea e microfono in mano. Ingiustamente dimenticato, e con grande sofferenza da parte sua.
E poi la grande borsa nera a tracolla: taccuino, appunti, chiavi, libri, fogli, occhiali da sole, giornali, ovviamente l’agenda, praticamente la bibbia. E tra i suoi elementi distintivi, i baffi, che lo facevano un po’ Pancho Villa, un rivoluzionario come il suo idolo: Fidel Castro. I baffi erano la cornice del suo sorriso.
Posso raccontarlo per cazzate, non per un’amicizia che non ho mai avuto, perché non mi è stato possibile approfondire la conoscenza – differentemente da alcuni miei cari colleghi che hanno avuto la possibilità e la fortuna di fare lunghi pezzi di strada insieme a lui – e poi perché lui era troppo girovago, e troppo più grande rispetto a noi che ci accontentavamo di frequentarlo sporadicamente, quando capitava, quando faceva un salto a Repubblica. Succedeva abbastanza spesso, si intratteneva a lungo a chiacchierare o fermarsi con noi a mensa, a raccontare i suoi infiniti aneddoti.
Portava pezzi e interviste sublimi che tutti conoscono. Maradona, Falcao, Zico, Platini, Mennea, Teofilo Stevenson, Sotomayor, Ed Moses, Smith e Carlos erano solo una parte del suo immenso Pantheon. Posso rivelare che quelle interviste non le scriveva, ma aveva il vezzo di dettarle dal telefono direttamente ai “dimafonisti”, l’ufficio appunto che si incaricava di raccogliere i pezzi degli inviati, batterli a macchina e consegnarli alla redazione per pubblicarli. Gli era così facile il racconto orale che gli veniva benissimo e posso testimoniare che più di una volta Mario Sconcerti e Giuseppe Smorto i miei amici e capi di allora nonché grandi suoi amici e confidenti, pur di agevolarlo ed evitargli l’incombenza della macchina da scrivere, gli consentivano di dettare il pezzo addirittura dall’interno di Repubblica stessa. Assurdo, ma possibile. I dimafonisti facevano finta di non sapere da dove provenisse la telefonata. Salvo poi veder girellare Gianni per la redazione…
Scriveva pezzi chilometrici, gli riservavano una pagina intera, e lui ne scriveva due. Una volta gli mettemmo davanti il blocco dei fogli di quello che aveva dettato: “Gianni, devi tagliare, per favore, sei fuori di almeno 70 righe, come facciamo?”. E lui tagliava, mezzo aggettivo qui, un apostrofo là. “A Già, dai qua, non guardare e lasciaci fare: avrai pure intervistato Maradona, ma se non la facciamo uscire, non la legge nessuno…”.
Una volta, non ricordo se fosse Falcao o chi altro – si parla della metà degli anni 80 – ci diedero da passare il suo pezzo. Quando arrivò era lunghissimo e per parte mia riuscii a eliminarne a fatica, senza rovinarlo, solo una piccolissima parte. La questione finì sul tavolo di Mario e Peppe: “Ragazzi è impossibile, è pieno di cose bellissime, di aneddoti, storie, come facciamo a tagliarlo?” Sconcerti ebbe l’intuizione: facciamo così, prese il blocco dei fogli, lo divise a metà, e in fondo al primo blocco scrisse: (prima parte- SEGUE). E al secondo: (seconda parte-FINE). Questo lo mettiamo domani. Alé, allora era possibile.
Faceva telefonate senza fine, Gianni, in mezzo mondo. Il telefono di Sconcerti non aveva il blocco chiamate internazionali. Una sera fa: “Oh fammi fare una telefonata, va”. E chiama in Messico, tutti se ne vanno, io resto da solo, vado in tipografia, sto via almeno un’ora e quando torno, Gianni era ancora lì. In teleselezione intercontinentale, il cui costo non oso pensare. Quando chiude: “Ah, Bocca, dai che s’è fatto tardi: nd’annamo a cena? Oh, e tu padre, il vecchio Ivo, come sta tu padre?” “Sta bene, è in pensione”. La cena all’una di notte non la ricordo: credo fu al bar del primo piano di Piazza Indipendenza.
Gianni era simpatico, socievole, non se la tirava. Così come piaceva a noi, piaceva ai grandi campioni e ai grandi personaggi che si fidavano e si aprivano con lui. Da lui ho imparato a stare quasi sempre dalla parte dei giocatori e dei campioni e a tenere ben distinto lo sport dalla politica, dal business, e dalla macchina che spreme il talento per pura convenienza. Gianni stava con Maradona quando tutto il mondo era contro Maradona. E lo stesso per Falcao. O per Pantani. O per Mennea.
Uno che mise insieme a cena a Trastevere da Checco Er Carrettiere in una stessa serata Muhammad Alì, Robert De Niro, Sergio Leone e Gabriel Garcia Marquez, raccontava tutto con una semplicità sbalorditiva che fanno quell’incontro ancora più grande ed epico. E ogni volta quel racconto s’arricchiva di un dettaglio che lo faceva sempre più surreale. Sintetizzando: “Stavo a casa con Muhammad Alì e mi chiama Robert De Niro. Gli dico sto andando a cena con Muhammad, e lui, come vai a cena con Alì e non mi dici niente?. No, io vengo con te. Poi mi chiama Sergio Leone e fa: guarda che De Niro stasera non può venire a cena con te, abbiamo un incontro importante per il film. Ma io non c’entro, stavo andando a cena con Muhammad, è Bob che ha detto che vuol venire. Alì? Stai andando a cena con Alì? Allora vengo pure io. Poi mentre stiamo per uscire chiama Garcia Marquez e mi dice: veramente dovevo andare a cena con Leone, ma mi ha detto che viene con te, allora a questo punto vengo da te… E va bene, vieni, vieni”.
Ma veramente, se tutti quanti non vedessimo quella straordinaria foto, chi crederebbe mai a un racconto così disinvolto e strampalato? No, davvero: volevamo tutti una vita come Gianni Minà.
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Puoi leggere questo articolo anche a questo indirizzo:
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Giornalista sportivo, a La Repubblica dal 1983 al 2022, sono stato per 12 anni capo dello Sport. Prima e dopo sempre sport e calcio, dai campi di periferia fino ai Mondiali, da Gianni Brera fino a Internet, da San Siro a New York, da Wembley all'Olimpico, dalla carta alla TV. Autore di Bloooog!, il Bar Sport, per 14 anni dentro Repubblica.it. Ora in maniera assolutamente libera, autonoma, indipendente, senza filtri.

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L’Avvocato (della Signora)

grande Fabrizio, grazie per questo bellissimo pezzo. bellissimo dalla prima all’ultima parola. 👏

ROS

…solo applausi per Minà!

roxgiuse

riposa in pace Gianni, grande uomo e grande giornalista.

puntadispillo

Ebbene sì, anch’io – come molti – avrei voluto essere come Gianni Minà.
E anche come Michele Serra (che ho visto a teatro di recente con lo spettacolo “L’amaca di domani”).

siefbi

La cosa straordinaria è che c’è stato un tempo in cui a Roma erano presenti, contemporaneamente, Leone (e ci sta), Ali, Marquez e De Niro. E andavano a cena da Checco Er Carrettiere.

Mordechai

E poi, posso dirlo ?, ha una faccia che esprime una bontà d’animo infinita.

Bel-Ami

L’emarginazione di un talento quale Minà mi fa riflettere sulla presunta ‘egemonia culturale della sinistra’ sbandierata dagli (e per gli) allocchì.

rd1959

Grande stima per Gianni Minà e per tutte le interviste a personaggi importanti della storia, della cultura e dello sport degli ultimi decenni, quasi sempre molto belle, e per i programmi che ha inventato, altrettanto significativi. Però non esageriamo. Quale emarginazione? L’ultimo di una ventina di libri pubblicati da Minà risale al 2020, quando aveva 82 anni. L’ultima volta che un suo documentario – su Fidel Castro – è passato in Rai risale al 2004, quando aveva 66 anni e l’ultimo di molti premi, cittadinanze onorarie e lauree honoris causa ricevuti risale al 2019 (81 anni), e d era quella del centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.

Semplicemente Gianni Minà era portatore di un giornalismo, certamente molto migliore di quello attuale, che non esiste più, e quindi a un certo punto la televisione, complice l’anagrafe, ha ritenuto di poterne fare a meno. Tutti parlano di Blitz, programma innovativo dei primissimi anni Ottanta, ma nessuno ricorda che allora si poteva fare un programma anche se aveva un audience ridotta, oggi Blitz verrebbe chiuso dopo la seconda puntata perché la televisione ha un solo fine, gli incassi pubblicitari, laddove ai tempi di Minà ancora si pensava a un giornalismo non solo di elevata qualità, costi quel che costi – Minà viaggiava come i soldi… – ma che avesse perfino una funzione educativa. Da allora l’Italia, con l’avvento delle tre reti di Berlusconi, è cambiata in modo radicale, e insieme è cambiato radicalmente anche il giornalismo. Vuoi mettere il rapporto costi/benefici di un’intervista di Minà a Rigoberta Menchu con quelli di un qualsiasi talk-show nel quale metti due politici di opinioni opposte, uno scenziato a dibattere con un no-vax o un esperto di geopolitica che battaglia con un fesso che vuole la pace ma senza inviare le armi all’Ucraina, e hai fatto un programma che occupa un paio d’ore, come minimo, di palinsesto. Quando ero un ragazzino su rai 2, il venerdì sera, in prima serata, trasmettevano grande teatro, e il lunedì sera su rai 1 era dedicato al grande cinema. Ora abbiamo solo talk-show nei quali chi le spara più grosse vince… Costa meno, rende molto di più in termini di fatturato pubblicitario.

Stando così le cose è evidente che non ci fosse più posto per Minà, però francamente non si può fare di lui una vittima del sistema, dal momento che per decenni ha potuto fare il suo lavoro – creando e conducendo programmi televisivi, girando documentari, pubblicando libri e dirigendo riviste – come più gli piaceva, senza alcuna coercizione…

Bel-Ami

D’accordo, ma non ho scritto ‘vittima’: la riflessione sulla sua assenza dal sistema televisivo (diversamente dal furbo Costanzo) è pretesto per la seconda parte del mio breve.

2econdo me

Minà e tutta Napoli stavano con Maradona e con l’Argentina quando tutta l’Italia stava con la Nazionale. E capisco che oggi vien difficile tifare per quel mucchio selvaggio di brocchi che chiamiamo Azzurri, ma nel ’90…ah nel ’90.

Minà stava dalla parte della sua agenda, e forse non poteva essere altrimenti: in fondo raccontava l’uomo che c’è dietro il campione ed il campione come massima espressione dell’uomo. Di qualsiasi nazionalità fosse. Ad una intervista in esclusiva con Diego non c’era patriottismo che tenesse, evidentemente…

Modifica il 11 mesi fa da 2econdo me
Mark Renton

Mi dispiace che una bufala sia diventata virale invece di essere smentita sul nascere.
Ti invito a recuperare la partita, gli highlights; quando Schillaci segna tutto lo stadio esulta. Quando l’argentina tira i rigori, tutto lo stadio fischia.
A fare molto rumore erano i tifosi argentini ma noto che nonostante siano passati 33 anni, ci si basa sul nulla piuttosto che su altri fattori:

1)l’argentina vinse ai rigori ma tatticamente aveva dominato.
2)Zenga e ferri, reduci da un’annata non all’altezza delle precedente, la fecero grossa
3)Vicini lasciò in panchina Baggio per schierare invece un Vialli evanescente.
4) Baresi e Maldini, sicuramente più forti degli altri due compagni di reparto, dovevano giocare a uomo. Se avessimo giocato a zona, quel gol non lo avremmo preso
5) dopo la faticosa vittoria contro l’Irlanda avemmo solo due giorni di riposo prima di scendere in campo. Il comitato organizzatore di Italia 90 fece una scelta scellerata. Avremmo dovuto giocare il mercoledì, non il martedì.
6) Miná era italiano ma aveva amici in tutto il mondo, farlo passare per “traditore” o volerne macchiare la memoria per essere stato amico di Maradona (qualcuno al governo era amico di Mangano, ma tutto bene, vero?) è tipicamente italiano.

Infine: quanto rompete ancora con questa storia? Ma invece di parlare del mondiale del 90, perché non parliamo di quello del 34 che ci fece vincere il dittatore e il suo regime con minacce ad arbitri ed avversari (uno su tutti, Zamora) e dello schifo con cui ce ne vantiamo?

2econdo me

Minà era libero di tifare per chi voleva, non c’erano e non ci sono (non ancora) leggi che vietano di non tifare per la propria nazionale di calcio ma quelli sono i fatti, Minà o Adani che siano. Nello stadio di Napoli non c’erano solo napoletani immagino o solo napoletani devoti a Maradona. I napoletani che non tifavano per Maradona saranno stati 1 su 10.

Dopodiché il campo ha emesso il suo verdetto perché l’Argentina era una squadra di tutto rispetto e perché Zenga uscì a farfalle quella notte. Riconoscere ed apprezzare il giocatore talentuoso anche se indossa la maglia della squadra avversaria è segno di grande civiltà ma in una nazione come l’Italia che di civile ha poco non fa che trasformarsi nell’ennesimo gesto ‘pro domo sua’ dell’italiano opportunista

Mark Renton

Se insisti col rapporti 1 a 10 allora non hai recuperato le immagini.
A Napoli comunque hanno applaudito il Milan nell’88 e Mancini dopo quel gol pazzesco in mezza girata nel 1991.
È altrove che, ad esempio, hanno fischiato Baggio R. da avversario.
E se vogliamo dirla tutta a Firenze negli anni 90 fischiavano spesso e volentieri la nazionale di Sacchi.
Sempre a proposito di Sacchi, ricordo feroci contestazioni al termine di un Italia Croazia 1-2 nel novembre del 1994, ma immagino che facciano più tendenza le illazioni sui napoletani che sui fiorentini, palermitani, o la tifoseria che ha fischiato Baggio.

siefbi

Non che Argentina ’78 sia andato tanto diversamente da Italia ’34, ma si sa: due torti non fanno una ragione

Mark Renton

Assolutamente d’accordo. Così come i tedeschi dopati contro l’Ungheria nel 1954.
Dove c’è stata corruzione o illecito andrebbe revocato il titolo.

Mordechai

Non che quello del ’38 sia stato diverso.

Mark Renton

In Francia non mi risultano pressioni e violenze dei gerarchi fascisti ai danni degli avversari.
Ma se hai fonti attendibili, sarei lieto di leggerle.

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