Addio a Bruno Pizzul, telecronista Rai

Addio Bruno Pizzul, la voce del calcio più amato

Bruno, la voce più bella, calda e amata del calcio italiano ci ha lasciato a 86 anni. Questa è una chiacchierata con lui che feci circa due anni fa.

***

“Rappresento il calcio raccontato di una volta. Entro nei ricordi della gente, sono un po’ il trait d’union tra il calcio di ieri e quello di oggi. Faccio gli spot sul calcio alla mia maniera. I nipoti mi vedono, mi chiamano e mi prendono in giro”. Che è la cosa che oggi Bruno Pizzul sembra apprezzare di più, il sentirsi al riparo all’interno di una grande tribù familiare, divisa tra il Friuli e Milano, da cui non si sposta più.

 Ottantaquattro anni, la voce squillante come un tempo – mi sembra quasi di entrare in un’altra dimensione e  sentire ancora “tutto molto bello”, “nonnulla”, “calcio palleggiato”, “ritmi da partita di dama” –  Bruno Pizzul è come un ritorno a casa, un porto sicuro, un posto dove sai che il calcio non è diventato una scienza complicata e incomprensibile, ma è ancora umano, un racconto vivo. Un’emozione da vivere insieme al telecronista che ci ha accompagnato e raccontato partite nella sua epoca più bella ed entusiasmante del football italiano. Ex calciatore professionista, ex insegnante di scuola, entrato per concorso alla Rai cui è rimasto sempre fedele, dopo la pensione nel 2002, ha raccontato ancora calcio e partite un po’ dove capitava. Adesso fa il testimonial e descrive i gol per Dazn. “Ma non ho un rapporto operativo… Siamo entrambi restii a definire bene cosa fare”.

 E con i telecronisti di oggi come la mettiamo Bruno?

“Li apprezzo tutti, li ammiro per le cose che sanno. Ma hanno reso complicato e difficile uno sport popolare proprio per la sua semplicità”.

Cos’è che non ti convince?

“Non mi convince l’abuso di Covercianese, l’uso di termini complicati e non comuni. E poi nelle telecronache di oggi si parla troppo. La cornice ha preso il sopravvento, lo spettacolo è diventato il commento stesso. E non va bene, almeno per me. Vedo che in Germania e altri paesi stanno tornando indietro: telecronache a una voce e basta, gli esperti intervengono prima, all’intervallo e dopo. Ma la partita viene rispettata”.

Insomma meno “quinto su quinto”…

“Credo che lo spettatore abbia anche diritto a maturare una sua idea della partita, senza doverlo convincere a forza di chissà quale tesi”.

Giusto, e poi a volte ci si sente schiacciati da un nozionismo assurdo. La verità scoperta attraverso numeri e dati strambi che camuffano quello che stai vedendo.

“Vedo telecronisti arrivare allo stadio con interi plichi di note facilmente reperite su internet, che poi ti riversano in telecronaca. Così tu telespettatore saprai tutto del terzino sinistro dell’Azerbaigian di cui poi non sentirai mai più parlare in vita tua. E alla fine ti parleranno più della zia di Rivera che di Rivera”.

C’è anche un’enfasi talvolta insopportabile nelle telecronache, sembrano tutte finali di Coppa del Mondo.

“Ho parlato di questo con alcuni giovani colleghi e alcuni mi hanno confidato che è la filosofia dei loro capi. La cosa più bella di una partita di calcio è l’emozione e l’emozione non va condizionata”.

Insomma il calcio tv è troppo costruito?

“Il problema principale è anche la quantità, l’offerta di calcio oggi è spropositata. Io quando c’è da scegliere in tv non sempre scelgo il calcio. I registi del calcio tv vengono dal cinema e hanno una tale quantità di immagini che alla fine la luna in cielo, la ragazza in tribuna, l’entrata in scivolata diventano preponderanti. E la partita, al confronto, banale”.

Si direbbe che Lele Adani sia il tuo opposto. Lo hai mai incontrato?

“Sì, l’ho incontrato e salutato. Tiene il microfono con una capacità esagerata. Conosce lo sport. Ma già a noi vecchi telecronisti dicevano che parlavamo troppo. Vedo che dà giudizi molto netti e sicuri. Io con i giudizi ci andavo piano, so che il calcio è più difficile giocarlo che raccontarlo”.

Rivedi mai le tue vecchie telecronache?

“Raramente, nove volte su dieci non ricordo nemmeno il risultato. E del resto da studente non rileggevo nemmeno il tema di italiano, avevo paura di cambiare troppo e consegnavo così”.

La partita che ricordi più volentieri?

“Germania Ovest-Inghilterra 3-1, a Leon quarti di finale di Mexico 70. Ero stato mandato ai Mondiali come quarto telecronista dopo Carosio, Martellini e Albertini. Mi sembrava il massimo”.

Una partita particolarmente complicata?

“Urss-Italia 0-0 dell’ottobre 1991 allo stadio Lenin di Mosca. Con molta deferenza per ripararmi dal freddo mi allestiscono la postazione dentro una cabina con vetri spessissimi, non apribili, completamente sporchi e appannati. Non vedevo assolutamente nulla, con un attrezzo improvvisato riuscii ad allargare una piccola crepa, rischiando di esser visto dalle guardie, e a guardare fuori. Feci la telecronaca osservando la partita con un occhio solo dal buco nel vetro”.

Eroico, non se ne accorse nessuno in Italia?

“Una delle prime cose che ho imparato da telecronista Rai è non lamentarsi mai in diretta della postazione o dei problemi tuoi. Chi ti sta guardando pagherebbe di tasca propria per fare quello che stai facendo tu”.

Fedelissimo alla Rai fino alla pensione.

“Sempre alla Rai e sempre a Milano. Rifiutai anche di andare a Roma. Roma è così sfacciatamente bella, che non ci si può andare per lavorare. Sono rimasto alla Rai per 40 anni e mai una promozione. Chiusi come inviato speciale, ma non diventai mai caposervizio. Né lo chiesi, avevo paura che facendolo mi togliessero dalle telecronache e mi chiudessero in ufficio senza uscire più. Ogni tanto avevamo qualche piccolissimo aumento che chiamavamo “lo scatto dell’asino”.

La Rai a quel tempo era un’istituzione. Che rapporto avevi con i tuoi colleghi

“Ottimo con tutti. Ma Beppe Viola per me è stato quasi un fratello”.

Ti trascinava nelle sue avventure?

“Racconto l’esordio. Nel 1970 ero entrato da pochi giorni alla Rai, mi mandano subito a fare uno spareggio di Coppa Italia a Como, Juve-Bologna 0-1. Mi danno auto e autista per il servizio, incontro Beppe che avevo appena conosciuto. Lui libera l’autista e mi dice che per andare a Como ci voleva mezzora, per cui mi porta a mangiare, poi a fare un giro, a giocare a carte. Morale mi incammino per Como e trovo in strada tutta la Brianza bianconera e arrivo con 15’ di ritardo. Per fortuna c’era la differita e si poteva rimediare. Ma ero appena entrato, il giorno dopo subito lavata di capo dai superiori. Saputo  che avevo fatto tardi con Beppe mi ammonirono: “Eh, attento alle frequentazioni”. Ovviamente non li ascoltai, Beppe per me è stato molto più di un amico”.

Che rapporto hai col calcio oggi?

“Non più professionale, direi passionale tranquillo”.

E degli allenatori di oggi di chi hai più stima?

“Di Carletto Ancelotti, ammiro la sua maniera disincantata di fare calcio. Non a caso è oggi il numero 1.  Ma mi piacciono anche tanti altri: Allegri che da buon toscano ha sempre la parabola sulla bocca, Mourinho un caso unico, di Pioli, Inzaghi, Sarri ammiro molto la capacità di smarcarsi dalle domande più cattive”.

Sei ancora un tifoso?

“Sì certo, del Torino da sempre. Ma intendiamoci, molto tranquillo”.

Tre personaggi del calcio cui sei più legato per affetto?

“Dico due corregionali: Zoff e Capello. E poi Rivera”.

Quanti nipoti hai detto che hai?

“Non l’ho detto, ne ho undici”.

E quanti giocano a calcio?

“Pochi, pochissimi. Il più piccolo e una ragazza. Non c’è più lo stesso rapporto col calcio che avevamo noi. Quando giocavamo in parrocchia un giorno facemmo festa perché arrivò un oggetto più o meno rotondo che molto tempo prima doveva essere stato un pallone vero. Oggi vedo tanti bellissimi palloni nuovi e pochissimi ragazzi che giocano in parrocchia e per strada. Ci mancano molto i calciatori da strada”.

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Giornalista sportivo, a La Repubblica dal 1983 al 2022, sono stato per 12 anni capo dello Sport. Prima e dopo sempre sport e calcio, dai campi di periferia fino ai Mondiali, da Gianni Brera fino a Internet, da San Siro a New York, da Wembley all'Olimpico, dalla carta alla TV. Autore di Bloooog!, il Bar Sport, per 14 anni dentro Repubblica.it. Ora in maniera assolutamente libera, autonoma, indipendente, senza filtri.

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[…] Addio Bruno Pizzul, la voce del calcio più amato 1 ora fa by Cuore ross/azzurro […]

[…] Addio Bruno Pizzul, la voce del calcio più amato 1 ora fa by occasionale […]

Nicola81

Nel bell’articolo di Bocca c’è già praticamente tutto… Aggiungo solo che per ragioni anagrafiche Bruno Pizzul è il telecronista con cui sono calcisticamente cresciuto, uno stile il suo che rappresentava un ottimo compromesso tra quello quasi asettico del predecessore Martellini e gli enfatici urlatori che sarebbero arrivati in seguito e di cui ormai siamo inflazionati.
Peccato che non abbia avuto modo di raccontare un vero trionfo della nazionale, è una soddisfazione che avrebbe meritato.

Giorgio Bianchi

Ricordo che era il telecronista di una partita maledetta: Juve Liverpool all’Heysel e la sua meravigliosa compostezza nel commentare fatti inconcepibili.
Bruno Pizzul.
Con questo credo di aver detto tutto!

PS grazie dott. Bocca per questo ricordo bellissimo.

Modifica il 17 giorni fa da Giorgio Bianchi
il ghiro

Si allontana con lui un altro pezzetto del “mio” calcio, quello che ritrovo oggi sempre più raramente sia nel calcio giocato, sia soprattutto nel calcio parlato, commentato, analizzato, vivisezionato delle TV e delle PayTV. R.I.P. caro Bruno, eravamo coetanei, presto potrai racconterai lassù le nostre partitelle con il tuo speciale, efficacissimo, unico linguaggio.

Nicola Romano

Devo dire che all’ inizio non mi piaceva, tutte quelle parole strane , tipo ” nugolo” ,poi mi sono abituato e affezionato, Bruno riposa in pace
.

Cuore ross/azzurro

Bel commento caro blogmaster. Io posso aggiungere solo una parola: “gigioneggia”, mai sentito dire da nessun altro. Un verbo che ho imparato da lui (non per niente era insegnante) e che non mi toglierò più dalla testa, pur non avendolo usato mai in vita mia. Per me sarà sempre questo, il grande, indimenticabile professionista Bruno Pizzul. Riposi in pace.

Modifica il 17 giorni fa da Cuore ross/azzurro
gmr61

Qualche anno fa, in un giro in Slovenia e Friuli, mi trovai nella cantina del più famoso di produttore di Collio, Kleber, e mi raccontava di come spesso avesse Pizzul li al tavolo dove ero io, non parlavano mai di calcio……
R.I.P. grande Bruno

Il Regolamento

Citando Pizzul sulla RAI… “robis di no crodi”.
Per me uno dei momenti di televisione più alti degli ultimi anni, il dialetto friulano su RAI2

Modifica il 17 giorni fa da Il Regolamento
comevolevasidimostrare

Un furlano schietto e dal favellar onesto. Il Friuli VG ha dato tanto al calcio; dovessi farne un elenco, non mi basterebbe una giornata. Vai con loro ha farti un “ombra” alla mia/ nostra salute 🍷⚽👨‍✈️

Il Regolamento

Un taj, prego, l’ombra è veneta

monica

….come dice marc gene…waaa..
“Tutto molto bello” lo metto accanto al ” cielo greve di umori” del grande sandro ciotti

occasionale

Eh sì .. quel “tutto molto bello” è una cosa che resta nella memoria.

Tre sole parole, solo tre, che significavano: “guarda che quello che hai appena visto non è affatto banale” .. ma che ti lasciavano la possibilità di rielaborarlo per conto tuo, quello che avevi visto, senza seppellirlo con una sfilza di verbose, torrenziali e soffocanti considerazioni tecnico-statistiche.

Il Sindaco

“un oggetto più o meno rotondo che molto tempo prima doveva essere stato un pallone vero”… sempre un grande!

Mandi Bruno, ci mancherai .

il radarista

Grande Pizzul. Anche nelle partite più drammatiche fu grande e responsabile.
Il calcio nelle strade non esiste più per l’invasiva presenza delle macchine e purtroppo neanche l’arte ne ha più memoria. Come se non bastassero le macchine, nella piazza del paese è stato vietato giocare a pallone. In uno spazio libero e recintato delle Cinque Terre, dove una volta si poteva giocare a calcio notte e giorno, fecero un parcheggio e da allora non ci sono più andato.
Nella serie televisiva “L’Amica Geniale”, da me presto abbandonata, si vede una piazza con un pallone di cuoio in mezzo e qualche ragazzo a una certa distanza. Se in quell’epoca si fosse visto un pallone di cuoio incustodito o quasi, ci sarebbero stati centinaia di ragazzini accalcati su quella cosa rotonda che sembrava un oggetto sconosciuto. All’epoca si giocava con le palle di pezza legate con lo spago o con le scatole di lucido da scarpe americane, le brill.
Oggi, come se non bastassero i cronisti, c’è la seconda voce. E che palle …

Modifica il 17 giorni fa da il radarista
commentanonimo

L’ultima frase di Pizzul ed il tuo commento definiscono perchè oggi il calcio ha perso qualcosa che non tornerà. Sulle strade imperversano ragazzini con cellulari. Una volta, si facevano a Torino, e non in un paese, due porte con le borse di scuola, in posti che ora sono parcheggi, e si giocava a muro nelle strade con poco traffico. Oggi è un mondo dominato da auto, e se vuoi giocare fai il pulcino in qualche squadra e appena sei bravino ti ronzano intorno giocatori, allenatori, persone, genitori e parenti che ti montano la testa o che ti insultano nelle partitelle di ragazzini di 10 anni. Lungi da me un ritorno al passato, ma se si trasforma un gioco che si fa ovunque in un gioco che fai solo se fai la trafila in una squadra mi pare ovvio che gli stadi si svuotino. Ho dato i miei ultimi calci al pallone 15 anni fa, e a volte mi manca. Vabbè…

monica

In mezzo a una strada ovviamente no,ma ci sarebbero i giardini e i parchi,o quantomeno nella mia zona ci sono. Solo che quasi sempre c’è il divieto di giocare a pallone!! 😶

occasionale

Vero.

Pensa che quando iniziai a lavorare avevo un collega di una 20ina d’anni più grande di me il quale mi raccontava che sul finire degli anni 50 coi suoi amici, negli intervalli di passaggio fra una macchina e l’altra, giocavano a pallone sulla Tuscolana (dico sulla Tuscolana – una via sulla quale oggi non riesci ad attraversare neppure quando hai il verde pedonale).

Troppo forte .. altri tempi !

il ghiro

Beh. mi hai fatto venire in mente le mitiche partitelle organizzate il pomeriggio a piazza Verdi nei primi anni ’50, davanti ai palazzi della Zecca e dell’ENEL. Poi in un angolo della piazza si giocava ad una porta sola, si chiamava “Attacco e Difesa”, la porta era la saracinesca chiusa della sezione locale del P.S.I. Per chi conosce quella zona di Roma oggi, credo faccia fatica solo ad immaginarlo.

occasionale

Quando si urlava a squarciagola cose come “uno due tre fuori area !” o “portiere volante !” .. quando in assenza di provvidenziali saracinesche l’altezza della porta veniva stimata a occhio (da cui grandi conciliaboli fra le due squadre per decidere – con molta onestà devo dire – se un tiro fosse effettivamente un gol oppure no perchè era andato sopra la – inesistente – traversa) .. e quando poteva ben capitare che dai piani alti piovesse acqua, testimonianza tangibile dell’insofferenza delle persone più adulte per la grande ‘caciara’ che c’era in strada.

guido

Grande Bruno, buon viaggio e grazie di tutto.
Ricorderò sempre quando hai letto le “Letture” durante la messa della mia Prima Comunione. Mi sembrava di essere allo Stadio.

Mordechai

Tutto vero e non è retorica.
Pizzul è stato davvero la voce magica del nostro calcio, ha saputo commentare e raccontare millemila partite, sempre con garbo e misura.
Banale a dirsi, ma è stato davvero un gran signore.
Mettere lui e Adani nella stessa frase, poi, è quasi un’offesa.

Leo 62

Bruno Pizzul è stato un vero Grande, per me il migliore di tutti, quello più equilibrato, quello che parlava meglio ed usava meglio le parole.
Un simbolo del calcio nel periodo in cui l’ho amato di più. Poi quando non ha più operato è cambiato un modo di fare telecronaca, sicuramente in peggio, e con questo è cambiato in peggio il calcio, era tutto il sistema ad essere diventato bacato. Una questione anche più vasta se vogliamo.
Levis sit Terra Bruno, e Grazie di tutto…

2010 nessuno

Ciao Bruno, e grazie per tutto

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